Tolkien e la forza della parola
Aprire un capitolo sula linguistica di Tolkien significherebbe spendere diverse ore ad indagare l’origine dei termini da lui utilizzati e ad analizzare i numerosi temi alla base dell’opera, da qui il rischio di diventare pesanti. Quando però è un appassionato come Gianluca Comastri, con il suo simpatico accento bolognese, a tenere l’incontro non si può fare a meno di essere rapiti dalla bellezza di un capolavoro come “Lo Hobbit” e sentirsi subito trasportati nella “Terra di Mezzo”.
Il filo rosso nella carriera di J.R.R. Tolkien, da affermato professore universitario a grandioso autore, è sempre la parola.La sua incredibile produzione ha inizio in modo quasi accidentale. Correggendo alcuni compiti, su un foglio bianco, si trova a scarabocchiare poche parole: “In un buco nel terreno, lì vive un hobbit”. Gli piacevano le storie, le favole e le leggende, ma non sapeva cosa fosse un “hobbit”. L’aveva appena creato. Per anni la sua fantasia ha dato vita a personaggi memorabili, alcuni del tutto inediti, altri invece attinti dall’antica mitologia nordica, di cui era grande conoscitore in quanto docente di Filologia.
Alla base del suo racconto vi è infatti un topos dell’epica antica, il viaggio. Compiuto da eroi e anti-eroi, che affrontano svariate avventure e realizzano un percorso di crescita personale, in cui, inevitabilmente, anche il lettore si trova coinvolto. Così come è accaduto al pubblico dell’Auditorium San Francesco, composto principalmente da ragazzi delle scuole medie di Chiavari, che con curiosità non hanno esitato a porre tantissime domande al relatore. Una peculiarità di Tolkien è proprio quella di essere l’iniziatore del genere “fantasy”, tanto caro ai giovani, ed esempio per gli autori successivi.
Nei suoi studi, così come negli episodi dei libri, la parola è il fulcro del racconto. È questa infatti a salvare Bilbo dalla fauci del drago e a diventare così la più potente arma contro il nemico.
Rebecca Apicella e Caterina Cammilleri